A cura di “Giuseppe De Robertis- assistente sociale Comune di Andria (BT) e consigliere CNOAS”.

 

L’emergenza alimentare rappresenta uno dei fronti caldi delle azioni istituzionali di sostegno ai cittadini durante il lockdown. Una misura indispensabile per far fronte ad un bisogno primario, che mai avremmo immaginato si sarebbe potuto manifestare in tale portata.
Tutti i Servizi Sociali comunali sono stati travolti da numerosissime richieste di aiuto dal momento in cui sono state stanziate le risorse straordinarie, ed hanno cercato di rispondere in tempi congrui, nonostante gli organici sottodimensionati nella maggioranza dei comuni italiani.
In alcuni casi si è privilegiato l’automatismo erogativo per questioni di celerità, in altri si è cercato di salvaguardare una peculiarità relazionale, seppur meramente telefonica, che ha accolto il bisogno senza trascurare la sofferenza.
Si sono aperti squarci di umanità: si è incrociato il pudore di chi era costretto ad elemosinare cibo, la vergogna di genitori incapaci di assicurare il necessario ai propri figli, il senso di smarrimento e la solitudine, i sentimenti di impotenza e la preoccupazione di un futuro prossimo sempre più scivoloso verso la povertà estrema. Nondimeno, ci si è imbattuti anche negli opportunisti, perché “da noi si fa così, ci si prova!”.
L’emergenza alimentare non sarà risolta immediatamente con la riapertura delle attività produttive e per molti mesi sarà la cifra unica dell’assistenza sociale, perché saranno lente le procedure di ritorno alla normalità dovendo attuare misure di protezione dal rischio di contagio, perché non tutti ritroveranno uno spazio in un mercato contratto e molti non saranno in grado di ridefinire le proprie competenze per nuove collocazioni lavorative.
Sarà un fardello pesante per le comunità e per i servizi sociali, improvvisamente risucchiati nelle pratiche assistenzialistiche, dove prevale il bisogno primario, legittimo ed indiscutibile, ma che negli ultimi trent’anni era stato reso marginale rispetto ai bisogni relazionali, di socialità, al riconoscimento di diritti ed opportunità per bambini, donne, diversamente abili, anziani, ecc.
Non sarà semplice riprendere i progetti di “cura relazionale” improvvisamente interrotti, riallacciare legami di fiducia faticosamente assemblati, riattivare processi di riscatto personale.
Si pensi alle progettualità sospese per le donne vittime di violenza, per i minori in percorsi di tutela giudiziaria, per gli adulti con “genitorialità fragile”, di sostegno alla co-genitorialità nelle separazioni difficili, per ragazzi o adulti appigliati a percorsi terapeutici di salute psichica o di liberazione dalle dipendenze patologiche.
In molte di queste situazioni, la sospensione ha determinato involuzioni e complicazioni, ha stratificato problemi, ha sedimentato sfiducia. Quando gli assistenti sociali (così come tutti gli operatori sociali), con strumenti e modalità nuove, potranno tornare ad occuparsi di queste situazioni, superata l’emergenza, dovranno fare i conti con altre paure e altri fattori di rischio, consapevoli della difficoltà di lavorare sulle fragilità personali in un quadro di vulnerabilità percepita.
Sarà necessario uno sforzo eccezionale nel quadro di più incisive politiche sociali multilivello e pratiche comunitarie che sappiano valorizzare quei “sentimenti solidaristici” che si sono intravisti e che vanno ora trasformati in capitale sociale.

Pubblicato il 29 Aprile 2020 da edizioni la meridiana
https://www.edizionilameridiana.it/tra-emergenza-alimentare-e-cura-relazionale/