Ritenendo la riflessione sulla “complessità” consona alle esigenze del Servizio Sociale di oggi e pertinente alla costruzione di una scienza del Servizio Sociale, la Sostoss ha valutato l’opportunità di far conoscere il lavoro di Giovanni Viel e di aprire un dibattito attraverso l’organizzazione di vari incontri seminariali (già tenutisi a Roma e Milano).

Dall’intervento di Paola Rossi del 9 novembre 2017 a Milano.

Con questo titolo è stato pubblicato, postumo (Maggioli 2015), il lavoro di Viel che costituisce la sua tesi di laurea. La ricca e articolata riflessione abbraccia vari decenni di lavoro in ambiti diversi e una ricerca impegnata e costante sul modo di leggere e affrontare la complessità per dare aiuto, per essere d’aiuto. L’autore si confronta con la teoria del filosofo Edgard Morin per indagare il rapporto tra soggetto e oggetto, tra persona e realtà, tra interno e esterno ed esplorare le reciproche connessioni in relazione all’esperienza di lavoro di servizio sociale.
La multidimensionalità nell’approccio cognitivo, valutativo, nell’intervento e nell’operatività quotidiana, è elemento costitutivo caratterizzante il servizio sociale, pertanto è stato studiato ed indagato da vari autori, a cominciare da Maria Dal Pra Ponticelli (1993). I mutamenti subiti nel tempo dai servizi sociali, e dall’assetto complessivo degli stessi, non meno che l’ottica dei singoli autori, hanno indotto a accentuare aspetti diversi di questa peculiarità professionale degli assistenti sociali, che comunque rimane fondamentale nell’approccio alle situazioni, sia in fase valutativa che operativa.
Vale la pena di citare “l’ottica trifocale” (Gui 2008) propria della presa in carico del problema, della persona, delle persone, che si rivolgono al servizio sociale: la persona e le sue risorse, il ruolo che può essere chiamata a svolgere la comunità di appartenenza, la funzione del servizio, ma anche della professione, sono oggetto di attenta valutazione. La ricerca che da quel momento l’assistente sociale svolge investe le risorse formali ed informali e le ingerenze, le interferenze che si coagulano intorno al “caso”. Tale ricerca è intesa ad attivare le capacità dell’utente, ad orientarlo, a sostenerlo per individuare e avviare un progetto atto ad affrontare e risolvere i problemi presentati. Un progetto che si ponga in una prospettiva complessa e non si definisca in una logica di causa-effetto e pertanto invochi una lettura della realtà a tutto campo, che coinvolga più livelli e più dimensioni.
L’intervento di un professionista di altra estrazione culturale indurrebbe ad una lettura monotematica e la consegnerebbe alla settorialità, escludendo la parte più creativa del processo: questo infatti consiste nell’esplorazione delle molteplici cause che in ogni situazione di vita interagiscono e possono entrare in gioco negativamente ma anche positivamente. Ciò esclude una lettura semplificata e aprioristica, ma, soprattutto, la teoria della complessità ci indica e suscita risorse nella persona e nell’operatore, spingendoli ad esplorare, relativizzando e affrontando le situazioni su più livelli.
Indubbiamente la società attuale si presenta con situazioni particolarmente complesse e richiede prestazioni che aiutino chi le vive ad orientarsi, a districare la matassa, ad assumere decisioni consapevoli. Anche l’offerta dei servizi richiede una valutazione competente ed una calibratura precisa a misura della situazione e delle aspettative, esplicite ed implicite, di colui/coloro che chiedono aiuto. La capacità di riconoscere ed invocare le concause che determinano una situazione, alleggerisce le responsabilità sia di chi ne è coinvolto che dell’operatore. Introduce l’elemento del dubbio nell’interpretazione e la aleatorietà nello sviluppo successivo. Indubbiamente è causa di disagio, ma anche spunto di una visione prospettica ed evolutiva delle situazioni.
La teoria filosofica della complessità ci permette di rileggere la nostra esperienza e di misure i risultati della ricerca professionale. Gli assistenti sociali si presentano a questo appuntamento consapevoli di una ricca conoscenza maturata sul campo che deve uscire dalla metodologia e dalla prassi e deve essere rivalutata e valorizzata nell’ambito di una precisa “scienza del servizio sociale” che vuol dire “mettere insieme”, “connettere”, “rendere comprensibili e reciprocamente permeabili” i vari ambiti e livelli della realtà sociale in cui operano. Ciò al fine di creare benessere, come è nei fini e nei principi ispiratori del servizio sociale. Non siamo alla ricerca di una legittimazione ma di un confronto. Vogliamo misurarci con quanto ci viene proposto da un’altra disciplina, sapendo di poter fruire di una riflessione e una teorizzazione che fin qui ci hanno accompagnato nella pratica quotidiana e oggi ci permettono di interloquire e contribuire alla riflessione con oltre 60 anni di esperienza maturata sul campo. La riflessione riguarda anche la nostra posizione all’interno delle istituzioni deputate a garantire, a costruire, a custodire il benessere per le persone. Questa considerazione ci propone una prima riflessione: gli assistenti sociali sono chiamati a realizzare il dettato costituzionale (art. 3 della Carta) e quindi a realizzare ciò che le istituzioni dichiarano nel loro statuto, a prescindere dalle indicazioni politiche e dai regolamenti che intervengono nel tempo. Ciò significa tener presenti i due mandati della professione, quello istituzionale e quello professionale. E’ un dilemma che nel tempo abbiamo affrontato e svolto molto onorevolmente, dando impulso a cambiamenti nelle istituzioni e nella società che appaiono, a distanza di tempo, fondamentali. Possiamo ricordare il contributo della nostra professione al superamento della commissione prefettizia per l’elenco dei poveri, degli istituti di ricovero per minori ed anziani, dei brefotrofi, degli ospedali psichiatrici e le mille proposte che oggi ci appaiono ridotte a slogan perché viziati da interessi, anche politici, contingenti o deprivati dei contenuti. E’ indubbio il cambiamento intervenuto nel tempo e di cui vogliamo accreditarci il merito.
Oggi tuttavia dobbiamo recuperare la capacità di valorizzare la funzione, riconosciutaci nei decenni passati, di coscienza critica delle istituzioni. Agendo in quel territorio tra il mandato professionale ed il mandato istituzionale, siamo presenti nell’istituzione non come strumento di esecuzione ma come propositori e assertori di un progetto consono alle esigenze delle persone e in sintonia con le finalità istituzionali.
A questo proposito voglio sottolineare che gli assistenti sociali debbono custodire la funzione di front-office, rivalutandola e non considerandola di minor rango. Essa è determinante per la funzionalità dell’Istituzione ma può consentire anche di rafforzare la professione che, avendo in mano la possibilità di valutare le richieste pervenute e le risposte offerte dal servizio, può influire sull’organizzazione di quest’ultimo e sulle politiche istituzionali. Ciò presuppone peraltro che gli assistenti sociali facciano gruppo e costituiscano una mente pensante ed un luogo di riflessione sull’andamento del servizio. Gli assistenti sociali, spesso privi di una organizzazione efficiente e di una tradizione operativa consolidata, tendono a sottrarsi dallo svolgere questa particolare funzione, che peraltro è loro propria e può rivalutarne l’apporto allo sviluppo e all’impostazione delle politiche del servizio. E’ indubbio che chi entra in prima battuta sul terreno di gioco è particolarmente esposto e si sente invaso dall’angoscia delle persone. Chi invece entra in campo quando sono già definiti i compiti e le modalità di gioco è maggiormente rassicurato e garantito. Per questo è necessario che la funzione di segretariato o accoglienza ottenga non solo una valorizzazione come momento di ricerca e impegno comune del gruppo professionale, ma anche un sostegno e una condivisione di scopo e strumento per l’affermazione della professione. La ricerca comune del gruppo professionale e lo studio delle dinamiche di quanto avviene in questo particolare primo impatto con le persone e i loro problemi, ci possono aiutare a porre la funzione di segretariato o accoglienza in evidenza e di valorizzarla come funzione essenziale per l’efficienza del servizio.
Nel rapporto tra chi chiede aiuto e il professionista dell’aiuto, che rappresenta la struttura deputata al sostegno, scattano sempre più spesso aggressività e rifiuto. Ci si misura con persone e situazioni ignote, con drammi personali e sociali che la stessa organizzazione di appartenenza tende a minimizzare o ignorare, predisponendo risorse minime ed elusive.
Ma, se l’istituzione e chi le governa hanno bisogno di una realtà semplificata, cui consegua un intervento semplificato, il servizio sociale deve porre in luce la complessità dei problemi delle persone e deve fare proposte che rispettino i principi del servizio sociale.
Vi sono settori in cui sembra giocarsi una maggiore e qualificata professionalità, penso soprattutto a quelli relativi alle adozioni o alle case di ricovero. E’ più gratificante operare in settori dove c’è la prospettiva di un’evoluzione positiva e una chiarezza di compiti, ma non è questo il campo da privilegiare per la crescita della professione, che da sempre si cimenta proprio nell’impatto con problemi nuovi e diversi e in questo lavoro è insostituibile, specie in una società complessa.
Nel dilemma tra mandato sociale e istituzionale abbiamo dato corpo a molti interventi innovativi. Questa funzione ci compete, può servire da stimolo alla organizzazione in cui operiamo e alla politica del settore. A ciò ci richiama anche il codice deontologico che ci permette di attuare le finalità professionali e statutarie contro una gestione esclusivamente burocratica.
Accade sempre più spesso che gli assistenti sociali vengano chiamati a rispondere sul piano disciplinare, se non giudiziario, di inadempienze, di non ascolto, di risposte puramente burocratiche: gli utenti, i loro avvocati, sanno leggere e chiedono conto di ciò che la professione asserisce e certifica come proprio compito.
Credo che la professionalità si giochi, come da sempre l’hanno giocata quelli che ci hanno preceduti, sull’accidentato terreno che è costituito dal primo impatto con la persona. Qui la professione si cimenta in un ottica pluridimensionale e mette in gioco la propria peculiarità. Ciò giustifica l’interesse per la teoria della complessità e per il lavoro di Giovanni Viel che è alla base di questo incontro.